L’isolamento è finito

L’isolamento è finito

L’isolamento è finito.

Dopo l’accelerazione, l’impennata, l’emergenza iniziale, stiamo lentamente scivolando verso la metabolizzazione del lockdown come “stato delle cose”.

Una sorta di versione medica del proibizionismo, fatta di rispetto formale, di facciata, di ricorso all’escamotage, alla connivenza, alla clandestinità. Una #wayoflife.

E secondo me c’è poco da trattare la cosa in senso morale: è una sorta di ovvio antropologico, la tribalità umana vince anche sull’autoconservazione, in linea di massima, specie in organizzazioni sociali come quelle occidentali, in cui (fino a oggi per fortuna) alla pura tutela della sicurezza si è anteposto un discorso di massima sul costo della stessa – entro quali limiti, insomma, si possa legittimare un soggetto istituzionale, uno Stato, a espropriarci delle scelte, fino alla cerchia fondamentale del possesso corporeo di noi, della mobilità di base, dell’interpersonalità, allo scopo di prendersi cura della nostra sussistenza.

E mentre viene inflitto un colpo mortale a ragione e senso critico, grazie all’annullamento radicale di ogni discrimine tra responsabilità, fattori di rischio, colpe – si è tutti colpevoli, e quindi nessuno, è tutto letale, e quindi nulla!, dalla corsetta al parco alle fabbriche stracolme, dalle case di riposo che sono ricettacoli conclamati al pensionato col cane – dall’isolamento si esce.
Lentamente e inesorabilmente, ineluttabilmente, per pura natura delle cose, con un effetto domino che si propaga a partire, ovvio, dai gruppi meno civilmente coscienziosi, per arrivare anche a tutti gli individui il cui equilibrio (che è sempre mobile) tra sopravvivenza economica, emozionale, psichica, tra senso di oppressione e stringente percezione/valutazione dei rischi è ben più ‘retto’.

Anche, e non solo, sulla scorta di un’erosione continua e inarrestabile della percezione di “legittimità” dell’auctoritas politica, che al netto di pochi casi più ideologici che altro, si erode via via che appare chiaro lo smarrimento in cui versa, l’assenza di reali soluzioni (perché, forse, la frittata è fatta è non ce ne sono, se non di irricevibili), la frammentazione e in certi casi il malaffare che la avvelena.

Difficile percepire la minaccia, specie se la psiche è soffocata, difficile impegnarsi per un futuro che non si vede neanche abbozzato, difficile riporre fiducia nei leader che si sbranano, sbagliano, mentono, fanno dietro front – e cioè finiscono per essere proprio come noi, umani smarriti senza risposte.
E quindi non più leader.
E quindi non più in grado di farci seguire le loro regole.

PS: quando parlo di erosione della leadership, di malaffare, di smarrimento – e pure, guarda un po’, di case di riposo – ho in mente roba del genere.
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