Difendere la scienza da certi scienziati

Difendere la scienza da certi scienziati

Pensavo che avessimo perso quella necessità da schiavi dell’astrologia, da creatori di dei, di ordinare tutto rigidamente, computare, spiegare senza tema di smentita.


Percorrere SOLO ED ESCLUSIVAMENTE un futuro già noto, anzi, già scritto, e chiaramente scritto da noi.

Evidentemente mi sbagliavo e non è bastato manco aver scardinato pure l’idea che dio non giochi a dadi con l’universo.
E così, grazie al nostro solito, amato e letale mix di paura e hybris, siamo finiti in uno scellerato gioco al rilancio.

Previsioni.
Previsioni dappertutto.
Modelli, schemi, pattern, descrizioni a uno, due, tre, dieci anni.
Gente che ha già calcolato l’eternità, linee guida, verità inconfutabili perché i numeri parlano chiaro, dio quanto mi fa infuriare questa frase – peccato che poi i numeri sembrino dire cose diverse a tutti.
E non parlo di laureati all’università della vita, sia chiaro.

Così, dieci virologi partoriscono undici narrazioni del futuro.
Poi ci sono gli economisti, i matematici, gli statistici.
Tutti certi della nobile, cristallina solidità dei loro paradigmi, di fronte ai quali ogni voce critica viene scomunicata seduta stante per manifesta incompetenza.
Si scomunicano tutti a vicenda, esatto, autorità uguali e contrarie che raccontano certezze uguali e contrarie.
E via a far la gara a chi offre il pacchetto più roboante.

La indovino con quattro.
TAAAC – premono il pulsantone rosso – “io la indovino con tre”.
Io predico il numero dei contagi, i mesi di durata, i tamponi, la spesa e le prime cinque nazioni a uscirne.
Io ti ci butto lì anche il costo delle mascherine, i punti percentuali di PIL perduti e il risultato elettorale delle Tonga.
Centomila previsioni, tutte figlie di una scienza infallibile – e tutti ad alzare le mani e dire “oh, certo che no, infallibile, giammai!”, mentre si comportano come se lo fosse eccome.
E così, per dire, nell’indicare in quale mese si uscirà dalla crisi, finisce che ne vengano citati ben tredici.
Uno più del calendario.

Ma d’altra parte ci eravamo abituati ormai da tempo all’idea che bastasse inserire i dati in questo o quel sistema certificato ™, per sapere in che direzione andare.
La politica, in fondo, serviva solo a costringerci a percorrerla.
Puro esercizio del potere, invece che ideazione dei percorsi.
Una politica esecutrice, piuttosto che creatrice.

Però vi confesso una cosa, amici, scienziati e non.
Laplace è mmorto, casomai non ve ne siate accorti.
Ben vengano le analisi, le proiezioni, ma questo rigurgito determinista così ottocentesco è semplicemente paradossale.

Quante campanelle devono suonare, prima che ne prendiate coscienza?

Perché la scienza è ancora, lo dico chiaro, il sistema più utile e solido di descrizione della realtà, oltre che essere di inaudita bellezza.
Però mi chiedo quanto sia necessario andare avanti in questo ottovolante di affermazioni, smentite, distopie, allarmi, vademecum, tutti contro tutti, nazione contro nazione, task force contro task force, prima di ammettere, semplicemente, che esistono problemi a un livello di complessità tale che è semplicemente impossibile arrogarsi una qualsivoglia patente di certezza.
Che le variabili in gioco, ivi compreso il sempre sottovalutato caso, sono troppe, e il tempo troppo breve.

Non si fa onore alla scienza abusandone.
Non la si aiuta a svolgere il suo vitale compito strappandola alla sua dimensione e gettandola in mezzo a guerre che non può vincere.
Non c’è niente di bello, né utile, in questo.
E a mio avviso chi ama la scienza, ancor più chi la fa, ogni giorno, attivamente, studiando e sudando, dovrebbe averne più cura.
Dovrebbe amarla un po’ di più.
E non farla sbranare così, indifesa, dall’unica cosa che è e sarà sempre più forte di essa: la realtà.

PS: ciò che stiamo affrontando è un’occasione per ricalibrare anche la politica, che ho sfiorato sopra.
Potremmo sfruttare la situazione per abbandonare il soluzionismo e, dato che un percorso unico e precalcolato, fatto di scelte inevitabili non c’è proprio modo di individuarlo, tornare a scegliere anche in base ai valori intrinseci delle opzioni, ragionando anche sull’etica, sull’estetica.
Magari sull’ideologia.

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